Diario dallo smart working. Giorno 9

Questo non è il mio ultimo giorno di smart working, ma è l’ultimo di questo diario. Continuare sarebbe un po’ noioso, e soprattutto inutile, perché ho già gli elementi per stilare un breve elenco di pro e contro del lavoro da casa, e trarne delle conclusioni.

Una premessa importante è che io non sono un lavoratore dipendente, collaboro con uno studio in cui ho degli orari tutti miei; ci vado praticamente tutti i giorni perché è comodo per molti aspetti, ma non ho sul collo il fiato di nessun capo, quindi forse le mie conclusioni sono diverse da quelle a cui potrebbe giungere un lavoratore dipendente, o un datore di lavoro.

Molto, poi, contratti di lavoro a parte, secondo me dipende anche dall’indole di ciascuno, per cui le conclusioni a cui sono giunto io possono essere diverse da quelle di chi ha un’indole meno incline al silenzio e alla solitudine.

Dunque, io dividerei in due parti l’analisi dello smart working: una che riguarda più strettamente il lavoro, e una sugli effetti che lavorare da casa ha avuto sul resto della mia vita.

Sicuramente per quanto riguarda l’efficienza e l’organizzazione del lavoro, non c’è storia: a casa lavoro meglio, sono più veloce e più efficiente, ho più tempo da dedicare a lavoretti extra, alla lettura e ad altre attività. Il tempo che impiegherei per andare in studio, e quello che, arrivato lì, perderei in chiacchiere, è tutto guadagnato, così come sono guadagnati i tempi morti, che in studio avrei sprecato in modo improduttivo. Ho constatato che, anche quando ci siamo solo io e il computer e nessuno ci guarda, riesco a gestire i tempi molto meglio di quanto pensassi: sono sorpreso di me stesso. Pensavo che mi sarei distratto ogni cinque minuti e che sarei finito a invertire il giorno e la notte, e invece no.

D’altra parte, se questo lavoro fosse solo il conto delle pagine impaginate, avrei già cambiato mestiere. Devo riconoscere che, pur non mancandomi troppo il contatto umano, a volte da quelle chiacchiere da una scrivania all’altra viene fuori un’idea, uno spunto, un consiglio di lettura, o anche una storia divertente, che non me la sento di gettare nel mucchio del tempo perso. Prova ne è il fatto che, appena andati in smart working, su Slack è stata creata una stanza in cui parlare proprio di queste cose.

Sul versante della mia vita personale, sicuramente da quando sono a casa sono più riposato, mangio meglio e bevo meno caffè espresso. Quelle piccole spese extra, che tanto extra alla fine non sono, per caffè vari, pranzo fuori e apertivo dopo lavoro, fatti due conticini, non sono poi tanto piccole: con quello che ho risparmiato in due settimane mi ci potrei pagare un bel concerto, per esempio (e invece li ho spesi per pagare il fabbro, pazienza).

Quello che neanche questa settimana sono riuscito a risolvere, è il problema della sedentarietà. Di solito in studio ci vado a piedi, ed è una passeggiata di circa mezz’ora, quindi tra andata e ritorno cammino almeno un’oretta al giorno. Lavorando da casa, invece, mi muovo molto meno e mi è capitato diverse volte di non uscire per due giorni di fila, se non per andare al supermercato, che è a due passi da casa. Con l’emergenza coronavirus evitare i luoghi pubblici ha senso, ma temo che farei così anche se non ci fosse nessuna emergenza, e questo a lungo andare diventerebbe un grosso problema.

Sugli aspetti psicologici dello stare in casa, infine, l’unica cosa che posso dire è che mi è venuta voglia di scrivere questo diario, e non so se è positivo.

Conclusioni

Mi sembra che lavorare smart sia molto più efficiente che lavorare in studio, ma che abbia anche qualche contro. Penso che le due modalità di lavoro andrebbero alternate, ma in modo intelligente (smart, appunto). Quantificare lo smart working, come si fa di solito, in un certo numero di giorni al mese, secondo me non ha alcun senso. Credo che un buon modo per ottimizzare l’alternanza tra lavoro in sede e lavoro a casa possa essere, piuttosto, valutare le scadenze, i carichi di lavoro e, a seconda dei casi, eventuali altre variabili che possano influire sull’efficienza del lavoro e sulla soddisfazione di chi quel lavoro lo fa.

Alcuni lavori probabilmente è impossibile farli a casa, altri potrebbero non richiedere mai la presenza in sede, se non per soddisfare le manie di controllo di qualche capo. Restando al mio caso, posso dire che ci sono fasi di lavorazione del libro in cui è più utile avere accanto un redattore con cui confrontarsi, e altre che posso gestire in modo più efficiente da casa, perciò un’alternanza tra le due modalità è possibile.

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